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La Nostra Storia

Perché parlare ancora di usi civici nel secondo decennio degli anni duemila, e quale interesse può avere questa materia per gli enti locali piuttosto che per gli enti gestori di usi civici?

Una materia che però è anche affascinante, e che permette di entrare davvero nella storia delle terre ed in quella delle popolazioni, nonché di apprezzare la straordinaria modernità di diritti che sembrano anacronistici, ma che sono intimamente legati alla vita ed alle tradizioni delle tantissime comunità locali che formano la nazione italiana. Una modernità che si rivela proprio nella grande capacità di adattamento delle problematiche degli usi civici agli enormi mutamenti sociali, economici e culturali che ha vissuto e continua a vivere il nostro Paese.


La storia dei diritti di uso civico affonda le sue radici nell’epoca romana: “Secondo i gromatici romani, le città possedevano, in quanto persone giuridiche, “silva et pascua” che per nessun motivo si potevano “abalienari a repubblica”. Le terre comuni cittadine passarono nel medioevo al fisco longobardo, nelle zone dominate da quella popolazione, ma “sulle terre comuni, fossero cittadine, fossero rurali, non c’è dubbio che continuassero a sussistere gli usi delle popolazioni”.


Normalmente l'affrancazione della proprietà feudale da detti gravami era realizzata mediante scorporo di una parte del territorio del feudo, che diveniva di proprietà collettiva della popolazione residente. La parte riscattata rimaneva in piena proprietà privata all'ex-feudatario. Lo stesso processo avvenne nell’Italia bizantina.

Il formarsi delle autonomie territoriali verso l’anno mille e l’affievolimento dei poteri dei regni e degli imperi favorisce la ricostruzione dei poteri cittadini sulle terre comuni. Questo processo continuerà e si rafforzerà fino alle riforme del periodo dei lumi, che in vario modo, e con varia fortuna a seconda dei singoli Stati italiani preunitari, cominciarono ad affrontare la questione dei diritti civici in un’ottica di maggiore produttività agricola.

Passando alla storia della legislazione italiana sulla materia usi civici, possiamo delineare una periodizzazione in relazione al tipo di approccio che l’ha caratterizzata. Un elemento comune, che la legislazione del Regno d’Italia ereditava da tendenze di politica legislativa di alcuni stati preunitari, era l’obiettivo della liquidazione degli usi civici. Tale obiettivo rispondeva ad esigenze di ammodernamento delle strutture agricole, ed era un cavallo di battaglia delle classi dirigenti di formazione liberale, che avevano come obiettivo una maggiore produttività dei terreni agricoli. Chiaramente questo si scontrava con le esigenze delle popolazioni, che spesso traevano la loro sussistenza anche dall’esercizio dei diritti di uso civico su aree private, o dal godimento delle proprietà collettive. Quindi la prima fase della legislazione italiana è caratterizzata da un approccio produttivistico, ma poco organico.

Per quanto concerne i territori di Sermoneta, i quali   furono posseduti per numerosi secoli dalla famiglia Caetani,  Principi di Teano e Duchi di Sermoneta prima ed anche Duca di San Marco e Marchese di Cisterna poi. 

I Caetani si opposero negli anni all'affrancazione dei terreni in favore della comunità fino a giungere alla redazione, il 4 agosto 1878, di un atto dove il Duca Onorato Caetani affrancò le sue terre dal diritto di pascolo assegnando alla comunità, come corrispettivo, una determinata quantità di terra. 

Nel 1988, con la  Legge 24 giugno 1888, n. 5489,  si procedette dapprima all'abolizione delle servitù di pascolo, di seminare, di legnatico, di vendere erbe, di fidare o imporre tassa a titolo di pascolo nelle ex-provincie pontificie e, poo,  con la Legge 4 agosto 1894, n, 397 venne creato l'Ordinamento dei dominii collettivi nelle provincie dell’ex Stato pontificio. A  seguito di questa disposizione legislativa  nel 1903 dell'atto venne istituita l'Università Agraria "Umberto I" di Sermoneta la quale amministrava gli usi civici derivanti dalle proprietà collettive poste sul territorio sermonetano e parte di quelle ricadenti, attualmente nel terriorio del Comune di Cisterna di Latina.


Negli anni venti del novecento l’economia era ancora prevalentemente agricola: per questo la tendenza alla liquidazione degli usi civici veniva rafforzata e razionalizzata, con l’intenzione di realizzare quella maggiore produttività del settore agricolo che si riteneva non fosse stata raggiunta in maniera soddisfacente con l’azione condotta dallo Stato Liberale. L’istituzione, avvenuta con la Legge 1766 del 1927, dei Commissariati per la liquidazione degli usi civici era un segnale importante per tentare di raggiungere tali obiettivi. In tal contesto di riordino in attuazione del  Decreto Ministeriale datato 30 gennaio 1932, il Commissario Giovanni Pedicini, con ordinanza commissariale del 26 ottobre 1932 dispose,  l'aggregazione all'Università  "Umberto I" anche i terreni di Latina. Da allora l'estensione territoriale dei terreni amministrati dall'Università Agraria di Sermoneta sono rimasti pressoché invariati.

Le terre di proprietà collettiva (universitas) rappresentano una notevole entità, che stime sicuramente provvisorie - in assenza di verifiche demaniali definitive - indicano nel territorio regionale, una dimensione intorno ai 50.000 ettari, costituenti il patrimonio delle associazioni ed università agrarie del Lazio.

Le università agrarie rappresentano, inoltre, ambiti a forte valenza sociale ed economica per le popolazioni residenti che hanno sempre fruito delle risorse naturali ivi esistenti per le proprie esigenze economiche e sociali. Università agrarie della nostra Regione sono l'espressione della storia delle comunità laziali, ed in particolare della storia agricola del territorio e della civiltà contadina, infatti costituiscono la prosecuzione e la regolamentazione ottocentesca di arti agrarie del secolo XV o delle società dei Boattieri.

 Le Università agrarie sono un bene culturale non solo ai sensi dell'articolo 146 del T.U. n 490/99, ma soprattutto ai sensi dell'articolo 4 dello stesso "in quanto testimonianza avente valore di civiltà".


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